EDITORIALE: Catania, a Casarano crollo mentale che va oltre gli errori
16-11-2025 09:59 - Campionato
Autore: Andrea Mazzeo
La sconfitta di Casarano non è soltanto un risultato sfavorevole, né può essere archiviata unicamente nella cartella degli errori arbitrali, pur gravi, che hanno segnato in modo evidente il pomeriggio rossazzurro. Perché, per quanto l’episodio del rigore negato — un intervento dell’ex Gega su Rolfini che grida vendetta, inspiegabilmente ignorato sia dall’arbitro Frasynyak sia davanti ai monitor del FVS — resterà a lungo nella memoria collettiva, sarebbe intellettualmente disonesto trasformarlo nell’alibi assoluto di una prova che ha svelato fragilità profonde. A Casarano è emerso un Catania vulnerabile non solo sul piano tecnico, ma soprattutto in termini di temperamento, reazione emotiva, tenuta mentale. Un nervo scoperto che va ben oltre il risultato.
Questa squadra, reduce da una settimana vissuta con il vento dell’entusiasmo a gonfiare le vele, ha dato l’impressione di non essere riuscita a metabolizzare del tutto il nuovo peso della classifica. In campo si è vista una formazione che ha pagato lo scotto delle attese, dell’autocompiacimento, della sottile euforia che circonda chi si affaccia in vetta dopo anni di rincorse. Ed è come se quel clima, invece di consolidare convinzioni, avesse allentato qualche vite fondamentale, producendo una prestazione opaca, timorosa, incapace di mantenere la barra dritta nei frangenti più ruvidi della gara.
Di fronte c’era un avversario affamato, in difficoltà e desideroso di riscatto, ma non per questo superiore sul piano qualitativo. Il Casarano ha fatto ciò che molte squadre di questo girone fanno quando affrontano un gruppo ambizioso: aggressione, densità, ripartenze, confusione sistematica. Eppure è bastato davvero poco per mandare fuori giri il Catania:un inserimento laterale per mettere in crisi sia la concentrazione individuale sia il meccanismo difensivo, bastato un ritmo di gioco spezzettato per rendere complicata ogni manovra. Le squadre che vogliono vincere i campionati sono quelle che nella disorganizzazione altrui trovano un appiglio, un varco, una molla per imporsi comunque. A Casarano, invece, il Catania ha dato la sensazione opposta: ha subito il contesto, si è adeguato al caos, lo ha interiorizzato invece di governarlo.
Le difficoltà tattiche sono il riflesso di un problema più ampio. È sembrato che si cercasse di replicare schemi e dinamiche consolidate in altre partite, come se un copione abituale potesse funzionare automaticamente in un terreno ostile, stretto, sporco, con avversari nervosi e con un arbitro che ha finito per esasperare ogni limite. La squadra ha avuto il pallone fra i piedi senza però sapere realmente cosa farne, con centrocampo e trequarti incapaci di dare continuità, con gli esterni raddoppiati sistematicamente e mai in grado di uscire dal pressing laterale, con una punta isolata e priva di rifornimenti.
Neppure i cambi, che spesso hanno rappresentato la risorsa di Toscano nelle partite più complicate, sono riusciti a mutare l’inerzia. Sono sembrati più la ricerca disperata di una soluzione estemporanea che non un’idea chiara, frutto di un piano pensato per tempo. Ma soprattutto è mancata quella capacità di leggere l’evoluzione psicologica della gara, di capire che in certi contesti non vince chi gioca meglio, ma chi resta più lucido quando la partita scivola sul piano dell’agonismo esasperato.
E qui emerge la questione caratteriale, quella che nessun modulo può correggere in corsa. A Casarano il Catania non ha dato a tutti gli effetti l’impressione di essere una squadra fragile, ma di essere una squadra che non ha ancora imparato a sentirsi forte. Una differenza sottile, ma decisiva. L’atteggiamento non è stato arrendevole, questo va riconosciuto; il Catania è rimasto dentro la partita, ha continuato a provarci, ha chiesto ciò che gli spettava, si è esposto, ha protestato, ha tenuto il campo. Ma tutto ciò non si è trasformato in energia produttiva, è rimasto un insieme di buone intenzioni. Per una squadra che ambisce a restare in alto, questo non basta.
La frustrazione dei tifosi, che da oltre un decennio attendono la fine del purgatorio sportivo, è comprensibile, e non va ignorata. Ma non va nemmeno strumentalizzata: la stagione è lunga e un singolo passo falso non cambia la natura del percorso. Ciò che cambia, però, è la percezione degli ostacoli. La sconfitta di Casarano è un segnale forte, un avvertimento che arriva nel momento giusto, quando c’è ancora tempo per correggere difetti che non possono essere minimizzati. È necessario che i giocatori comprendano quanto pesi ogni domenica, quanto sia sottile la linea che separa una grande occasione da un enorme rimpianto.
Il Catania non ha perso solo contro un avversario che ha messo cuore e corsa. Ha perso contro una versione di sé stesso che deve essere superata quanto prima: quella che si adagia, che accetta la confusione altrui, che dubita alla prima difficoltà, che sente il peso del proprio ruolo invece di farsene scudo. E ha perso soprattutto contro i propri limiti emotivi, che non possono diventare compagni di viaggio nel cammino verso un obiettivo così importante.
Il modo migliore per lasciarsi alle spalle questa giornata è trasformarla in un punto di ripartenza obbligato, non in un sasso da portare nelle scarpe. Reagire significa molto più che vincere la partita successiva: significa dimostrare di aver compreso cosa è mancato, significa presentarsi al Massimino non solo con la voglia di riscatto, ma con la consapevolezza di dover crescere subito. Il tempo c’è ancora, ma la finestra per dimostrare di essere davvero una squadra da vertice non può rimanere aperta troppo a lungo.
Questa squadra, reduce da una settimana vissuta con il vento dell’entusiasmo a gonfiare le vele, ha dato l’impressione di non essere riuscita a metabolizzare del tutto il nuovo peso della classifica. In campo si è vista una formazione che ha pagato lo scotto delle attese, dell’autocompiacimento, della sottile euforia che circonda chi si affaccia in vetta dopo anni di rincorse. Ed è come se quel clima, invece di consolidare convinzioni, avesse allentato qualche vite fondamentale, producendo una prestazione opaca, timorosa, incapace di mantenere la barra dritta nei frangenti più ruvidi della gara.
Di fronte c’era un avversario affamato, in difficoltà e desideroso di riscatto, ma non per questo superiore sul piano qualitativo. Il Casarano ha fatto ciò che molte squadre di questo girone fanno quando affrontano un gruppo ambizioso: aggressione, densità, ripartenze, confusione sistematica. Eppure è bastato davvero poco per mandare fuori giri il Catania:un inserimento laterale per mettere in crisi sia la concentrazione individuale sia il meccanismo difensivo, bastato un ritmo di gioco spezzettato per rendere complicata ogni manovra. Le squadre che vogliono vincere i campionati sono quelle che nella disorganizzazione altrui trovano un appiglio, un varco, una molla per imporsi comunque. A Casarano, invece, il Catania ha dato la sensazione opposta: ha subito il contesto, si è adeguato al caos, lo ha interiorizzato invece di governarlo.
Le difficoltà tattiche sono il riflesso di un problema più ampio. È sembrato che si cercasse di replicare schemi e dinamiche consolidate in altre partite, come se un copione abituale potesse funzionare automaticamente in un terreno ostile, stretto, sporco, con avversari nervosi e con un arbitro che ha finito per esasperare ogni limite. La squadra ha avuto il pallone fra i piedi senza però sapere realmente cosa farne, con centrocampo e trequarti incapaci di dare continuità, con gli esterni raddoppiati sistematicamente e mai in grado di uscire dal pressing laterale, con una punta isolata e priva di rifornimenti.
Neppure i cambi, che spesso hanno rappresentato la risorsa di Toscano nelle partite più complicate, sono riusciti a mutare l’inerzia. Sono sembrati più la ricerca disperata di una soluzione estemporanea che non un’idea chiara, frutto di un piano pensato per tempo. Ma soprattutto è mancata quella capacità di leggere l’evoluzione psicologica della gara, di capire che in certi contesti non vince chi gioca meglio, ma chi resta più lucido quando la partita scivola sul piano dell’agonismo esasperato.
E qui emerge la questione caratteriale, quella che nessun modulo può correggere in corsa. A Casarano il Catania non ha dato a tutti gli effetti l’impressione di essere una squadra fragile, ma di essere una squadra che non ha ancora imparato a sentirsi forte. Una differenza sottile, ma decisiva. L’atteggiamento non è stato arrendevole, questo va riconosciuto; il Catania è rimasto dentro la partita, ha continuato a provarci, ha chiesto ciò che gli spettava, si è esposto, ha protestato, ha tenuto il campo. Ma tutto ciò non si è trasformato in energia produttiva, è rimasto un insieme di buone intenzioni. Per una squadra che ambisce a restare in alto, questo non basta.
La frustrazione dei tifosi, che da oltre un decennio attendono la fine del purgatorio sportivo, è comprensibile, e non va ignorata. Ma non va nemmeno strumentalizzata: la stagione è lunga e un singolo passo falso non cambia la natura del percorso. Ciò che cambia, però, è la percezione degli ostacoli. La sconfitta di Casarano è un segnale forte, un avvertimento che arriva nel momento giusto, quando c’è ancora tempo per correggere difetti che non possono essere minimizzati. È necessario che i giocatori comprendano quanto pesi ogni domenica, quanto sia sottile la linea che separa una grande occasione da un enorme rimpianto.
Il Catania non ha perso solo contro un avversario che ha messo cuore e corsa. Ha perso contro una versione di sé stesso che deve essere superata quanto prima: quella che si adagia, che accetta la confusione altrui, che dubita alla prima difficoltà, che sente il peso del proprio ruolo invece di farsene scudo. E ha perso soprattutto contro i propri limiti emotivi, che non possono diventare compagni di viaggio nel cammino verso un obiettivo così importante.
Il modo migliore per lasciarsi alle spalle questa giornata è trasformarla in un punto di ripartenza obbligato, non in un sasso da portare nelle scarpe. Reagire significa molto più che vincere la partita successiva: significa dimostrare di aver compreso cosa è mancato, significa presentarsi al Massimino non solo con la voglia di riscatto, ma con la consapevolezza di dover crescere subito. Il tempo c’è ancora, ma la finestra per dimostrare di essere davvero una squadra da vertice non può rimanere aperta troppo a lungo.
Questa sconfitta non deve essere negata, deve essere capita. E poi superata, una volta per tutte.









