2010-2020
Dopo l’incredibile salvezza dell’anno precedente, la città di Catania era tornata a respirare calcio con ottimismo. L’eco del trionfo sull’Inter di Mourinho e le magie di Maxi López ancora risuonavano tra i vicoli di San Cristoforo e le curve del Massimino. C’era fiducia, c’era entusiasmo. C’era voglia di continuità. Ma il primo colpo di scena arrivò ancora prima del calcio d’inizio: Siniša Mihajlović, l’uomo che aveva guidato la squadra fuori dall’inferno, lasciò la panchina per accasarsi alla Fiorentina. Una scelta amara per molti, ma comprensibile. Al suo posto, la società fece un nome che spiazzò tutti: Marco Giampaolo. Un tecnico con idee moderne, che amava il possesso palla e il calcio pensato. Ma Catania non è un luogo dove basta pensare: qui bisogna lottare, sudare, resistere. La stagione partì tra luci e ombre. La squadra sembrava solida, ma non riusciva a decollare. Giampaolo, uomo pacato e riflessivo, faticava a entrare nel cuore della piazza. I risultati erano altalenanti. Arrivavano pareggi, qualche vittoria sofferta, ma anche sconfitte pesanti. Il pubblico iniziava a inquietarsi, il malumore cresceva. Il vero crollo arrivò tra gennaio e febbraio: la squadra perse lucidità e subisce parecchie sconfitte. opo aver totalizzato 22 punti in 20 partite, a seguito di una serie di 3 partite in cui il Catania guadagna un solo punto in casa contro il Chievo, viene esonerato il 18 gennaio 2011. Il Catania decise di affidarsi ad un uomo nuovo: Diego Pablo Simeone, detto El Cholo. Un nome che in quel momento non diceva molto ai più, ma che portava con sé uno spirito battagliero, quasi viscerale. Simeone arrivò, parlò poco e trasmise subito la sua fame. I giocatori lo seguirono. Con lui cambiò tutto: grinta, concentrazione, e voglia di lottare su ogni pallone. La rinascita fu lenta anche perché i risultati tardano ad arrivare. Ogni punto diventava ossigeno. La svolta avviene in casa contro il Lecce, dove arriva una rocambolesca vittoria per 3-2 con doppietta di Lodi su punizione. Al Massimino non si passa più: arrivano le vittorie contro Genoa (2-1), Sampdoria (1-0) e soprattutto un pesantissimo 4-0 contro il Palermo. Il popolo rossazzurro ricominciò a cantare, a crederci. Simeone non era solo un allenatore, era un condottiero. A fare la differenza, ancora una volta, furono gli uomini simbolo: Maxi López, anche se meno prolifico dell’anno prima, restava il punto di riferimento in attacco. Ricchiuti, Ledesma, Gómez (arrivato da poco ma già in crescita) e il nuovo portiere Andújar, furono colonne portanti. E poi Francesco Lodi, arrivato a gennaio, che con i suoi calci piazzati portava ordine e pericolo. Il Catania chiuse la stagione al 13º posto, con 46 punti, uno in più dell’anno prima. Una salvezza sofferta ma meritata, costruita sull’orgoglio e sulla capacità di rialzarsi. Eppure, nel silenzio dell’estate che si avvicinava, un’altra svolta era già scritta. Diego Simeone, dopo aver salvato il Catania, salutò. Destinato a tornare in Argentina per guidare il Racing, e poi, di lì a poco, scrivere la sua leggenda all’Atlético Madrid.
Stagione 2011/12, non c’è più Simeone, partito dopo aver acceso la miccia della salvezza. Al suo posto, la dirigenza – con l’infallibile fiuto di Pietro Lo Monaco – decide di puntare su un nome che pochi avrebbero previsto: Vincenzo Montella, ex aeroplanino della Roma, alla sua prima vera esperienza da allenatore in A dopo una breve parentesi proprio con i giallorossi. Montella arriva a Catania con uno stile sobrio, elegante, con lo sguardo calmo di chi sembra sapere esattamente cosa vuole fare. E inizia a costruire, silenziosamente, la squadra più bella della storia rossazzurra. Già dalle prime giornate si capisce che c’è qualcosa di speciale. Il Catania gioca bene. Non solo lotta, non solo resiste: impone il suo gioco, fa possesso palla, alza la linea, attacca con coraggio. La squadra è viva, intelligente, divertente da guardare. Al Massimino si torna per emozionarsi, non solo per soffrire. Il cuore del nuovo Catania è un centrocampo raffinato e tecnico: Francesco Lodi, il regista dai piedi d’oro, detta i tempi come un direttore d’orchestra. Accanto a lui corrono e combattono Pablo Barrientos, che finalmente si scrolla di dosso gli infortuni, e Sergio Almirón, esperto e fisico. Davanti, esplode la classe di Papu Gómez, funambolico e ispirato, e torna a brillare Gonzalo Bergessio, l’attaccante argentino che segna, si sacrifica, si prende la squadra sulle spalle. E poi c’è Juan Pablo Carrizo, portiere arrivato in prestito dalla Lazio, protagonista di parate decisive. In difesa, Spolli, Legrottaglie, Marchese e Álvarez formano un reparto solido, forse poco celebrato, ma fondamentale. Il Catania vola. Batte l’Inter, pareggia con la Juventus, gioca a testa alta con chiunque. La squadra non si accontenta della salvezza: vuole stupire. E ci riesce. A marzo, dopo la vittoria per 1-0 sulla Lazio con gol di Legrottaglie, la classifica dice non solo “tranquillità”, ma qualcosa di più: zona Europa League. I tifosi iniziano a sognare. La città si riempie di entusiasmo. Il Massimino diventa una bolgia. La squadra gioca il miglior calcio mai visto all’ombra del Vulcano. Montella resta calmo, sereno, quasi distaccato. Ma i suoi uomini lo seguono come fosse un generale gentile. La salvezza matematica arriva con larghissimo anticipo, e ormai il sogno europeo sembra a un passo. Poi, come spesso accade, qualcosa si inceppa. Una serie di pareggi e sconfitte nelle ultime giornate frena la corsa rossazzurra. La fatica si fa sentire. Le altre squadre corrono. L’Europa si allontana. Ma non c’è rimpianto, perché il Catania ha già scritto una pagina di storia. La stagione si chiude con un 11° posto e 48 punti, frutto di 11 vittorie e 15 pareggi, e tante, tantissime partite da ricordare. È il miglior campionato mai fatto dal Catania in Serie A fino a quel momento. Un traguardo che non sa di salvezza, ma di crescita, identità, orgoglio. Purtroppo c’è ancora una volta un cambio in panchina. A fine stagione, Vincenzo Montella saluta: andrà alla Fiorentina, proprio come avevano fatto Zenga e Mihajlović. Ma questa volta Catania non trema. Sa di avere una base solida, ma in estate tutto invece lascia presagire al peggio: è il 21 luglio 2011, quando Lo Monaco rassegna ufficialmente le dimissioni da Amministratore Delegato della società etnea per via di alcuni dissidi con il presidente Pulvirenti.
Siamo al 2012/13, la città ha ancora negli occhi il calcio elegante della squadra di Montella quando al timone dell’amministrazione arriva l’architetto silenzioso Sergio Gasparin, mentre in panchina arriva Rolando Maran, un allenatore abituato ai campi di provincia, umile, lavoratore, silenzioso. Ma sotto quel profilo mite, si nasconde un tecnico preparato, meticoloso, in grado di trasformare un gruppo in una macchina da guerra. Il Catania parte in campionato senza clamore, ma con la testa alta. La squadra è ormai rodata: Lodi, Almirón, Barrientos, Gómez, Bergessio, Spolli, Marchese, Izco. I nomi sono gli stessi, ma qualcosa è cambiato. Ora c’è convinzione. Ora c’è fame. E’ il Massimino l’arma vincente degli etnei: in avvio il Catania totalizza ben 8 vittorie in 12 gare casalinghe. I rossazzurri giocano bene e con coraggio, ma soprattutto credono di poter vincere contro chiunque. A gennaio, mentre molte squadre arrancano, il Catania vola: batte la Roma, mette sotto la Genoa e la Fiorentina. I tifosi iniziano a guardare la classifica non dal basso, ma dall’alto verso l’Europa. E per la prima volta, quella parola “Europa” non è un sogno: è un obiettivo concreto. Il tridente offensivo è devastante: Papu Gómez, imprevedibile, fantasioso, maturo; Gonzalo Bergessio, grintoso, generoso, concreto; Pablo Barrientos, il talento puro, quello capace di accendere una partita con una sola giocata. E dietro, il cervello è sempre lui: Francesco Lodi, con i suoi lanci al millimetro e le punizioni telecomandate. Maran, dal canto suo, non cerca gloria personale. Non urla, non si espone. Lascia parlare il campo. Ed è il campo a raccontare la meraviglia. Il 3 marzo 2013 arriva il momento simbolico della stagione: Catania-Inter, il Massimino è in festa. Il Catania va sul 2-0, sogna, canta, grazie alle reti di Bergessio e Marchese. Ma poi l’Inter rimonta nel secondo tempo e vince 3-2. Quel giorno, il pubblico applaude lo stesso. Perché ormai si è capito: il Catania non è più una sorpresa. È una realtà. E così, tra giocate sublimi, vittorie storiche e una solidità mai vista, la squadra di Maran arriva al traguardo con un bottino da record: 8° posto in classifica, 56 punti – miglior risultato della storia in Serie A, 15 vittorie, 11 pareggi, solo 12 sconfitte. L’Europa sfuma di un soffio, per un gioco di incastri e differenza reti. Ma nessuno è deluso. Nessuno ha rimpianti. Anzi: è festa. Perché mai, mai prima d’ora, il nome di Catania era stato così in alto. Ma come tutti i sogni, il risveglio alle volte può essere devastante. Molti salutano: Papu Gómez, il gioiello più splendente, vola in Ucraina allo Shakhtar. Lodi andrà al Genoa. Almirón inizia a sentire il peso degli anni. E il ciclo, lentamente, inizia a chiudersi.
Il racconto della stagione 2013/14, rappresenta l’anno in cui il sogno si spezzò. È una storia diversa dalle precedenti: non è un’ascesa, ma una caduta. In estate, però, qualcosa si ruppe. In silenzio. Come quando un palazzo inizia a scricchiolare, e nessuno ci fa caso. Rolando Maran fu confermato in panchina, com’era giusto che fosse. La novità è l’ingresso nel CDA di un esperto di calcio internazionale come Pablo Cosentino, ma la squadra, quella meraviglia che aveva incantato l’Italia, cominciò a sfaldarsi. Il nuovo torneo vede la squadra sul fondo, già dalle prime battute e dopo la sconfitta subita a Cagliari e con la squadra in zona retrocessione, Maran viene esonerato e sostituito da Luigi De Canio. Il cambio in panchina non produce effetti positivi poiché gli etnei rimangono in zona retrocessione, totalizzando solo 8 punti fino alla fine del girone di andata. La partenza dei pezzi pregiati ed un mercato che non aveva portato rimpiazzi all’altezza aveva fatto la differenza. Arrivarono giocatori come Tachtsidis, Monzón, Peruzzi, Boateng e Plasil. Ma il legame con la piazza, con la maglia, non si sentiva più. Si perse qualcosa. L’anima, forse. Il Catania sembrava perso in campo. Confuso, scollegato. I volti dei giocatori erano quelli di chi non sa più come reagire. Il gioco? Un’eco lontana della squadra brillante che aveva dominato l’anno prima. Bergessio lottava da solo. Barrientos appariva svuotato. Izco, uno dei pochi a non mollare mai, sembrava gridare nel vuoto. Dopo poche giornate, anche De Canio venne esonerato. A gennaio tornò Maran, con il compito disperato di salvare ciò che restava. Ma ormai era troppo tardi. Nemmeno il mercato di riparazione serve a qualcosa: ritorna in prestito dal Genoa, Francesco Lodi, mentre i nuovi arrivi sono solamente Fabián Rinaudo e Francesco Fedato. Il Catania, impaurito, stanco, si trascinava in campo come un pugile suonato. In attacco, Sebastián Leto, preso in estate dal Panathinaikos, segna appena tre gol in tutto il campionato. Gli unici che tirano la caretta sono il solito Bergessio (10 gol) e Barrientos (5). Il Catania torna a sperare nel finale, vincendo contro la Sampdoria per 2-1, ma la debacle di Verona per 4-0 ricaccia in dietro ogni barlume di fiducia. Non servono le tre vittorie consecutive nel finale contro Roma, Bologna ed Atalanta. La matematica sentenza arrivò il 4 maggio 2014, proprio in casa degli orobici. La vittoria per 2-1 fu inutile in quanto insufficiente per ricacciare indietro il Sassuolo, capace di vincere incredibilmente a Firenze (3-4) e contro il Genoa in casa (4-2). Le lacrime dei tifosi bagnarono i gradoni del Massimino. Dopo otto anni consecutivi in Serie A, il Catania retrocedeva con numeri spietati: 18° posto, 32 punti frutto di appena 8 vittorie ed 8 pareggi. Ben 63 i gol subiti a fronte di appena 34 realizzati. Il disastro era compiuto, ma il tracollo doveva ancora arrivare.
Siamo nel torneo 2014/15, un’annata che si annunciava come quella del riscatto… e invece fu l’inizio di un lungo incubo. La città non si era ancora svegliata del tutto dalla caduta. La retrocessione in Serie B, dopo otto anni gloriosi in Serie A, bruciava ancora nelle ossa e nel cuore dei tifosi. Ma c’era voglia di reagire, di tornare subito su. “Ripartiamo. Torniamo subito dove meritiamo” Questo era il pensiero che aleggiava tra piazze, radio, bar, social. Il presidente Antonino Pulvirenti confermò l’ambizione: il Catania doveva tornare subito in Serie A. E così venne allestita una squadra forte, almeno sulla carta, affidata a Maurizio Pellegrino, promosso dalla Primavera. Il 31 luglio 2014 i tifosi del Catania rimangono impietriti dopo la cessione del beniamino Mariano Izco, ceduto al Chievo dopo 8 anni in maglia rosso-azzurra con 218 presenze e 6 gol. Oltre alla cessione di Izco da registrare le partenze di Gonzalo Bergessio e Francesco Fedato alla Sampdoria, Francesco Lodi al Parma, Pablo Barrientos al San Lorenzo, Mariano Andújar al Napoli, Jaroslav Plašil torna al Bordeaux, Cristiano Biraghi al Chievo insieme a Maxi López, Keko all'Albacete in Spagna, Andrea Catellani allo Spezia poi futuro capocannoniere della Serie B 2014-2015, Pablo Álvarez al Rosario Central. Al Leeds vengono ceduti Giuseppe Bellusci, Mirco Antenucci e Souleymane Doukara. Kingsley Boateng va in prestito agli olandesi del NAC Breda, Federico Moretti va al Vicenza e Nicola Legrottaglie chiude la carriera nel Catania dopo 3 stagioni in maglia rossazzurra collezionando 80 presenze e 8 goal. Sulla carta, il Catania era tra le favorite assolute per la promozione con un mercato di assoluto prestigio: arriva l'ex Napoli, Emanuele Calaiò, autore di 18 gol in campionato ed Alessandro Rosina entrambi provenienti dal Siena. Dal Basilea arriva il centrale argentino Gastón Sauro, ritornano al Catania Raphael Martinho e Edgar Çani. Dal Boca Juniors arriva Gonzalo Escalante e dal Rangers de Talca Gonzalo Piermarteri. Raphael Martinho non è l'unico brasiliano, infatti c'è anche Marcelinho in arrivo dallo Skoda Xanthi. Nonostante i bookmakers e le agenzie di scommesse avessero pronosticato il Catania come squadra super favorita per vincere il campionato cadetto, i fatti si rivelarono ben presto molto diversi, anche a causa dei numerosi infortuni sotto la gestione fisica-atletica del preparatore atletico Gian Piero Ventrone che dimezzarono la squadra, al punto da dover convocare più volte i giocatori della Primavera. Bastarono poche settimane per capire che qualcosa non funzionava. La squadra non girava. Il gioco era lento, impacciato, senza identità. Pellegrino non riusciva a imporsi, lo spogliatoio sembrava smarrito. I risultati cominciarono a scivolare. Sconfitte in trasferta, pareggi deludenti, qualche vittoria sporadica ma senza continuità. L’illusione si rivelò per quello che era: una maschera fragile. Il Catania non era pronto. Non mentalmente. Non fisicamente. E forse, nemmeno strutturalmente. A ottobre Pellegrino fu esonerato. Arrivò Giuseppe Sannino, allenatore esperto, grintoso. Ma nemmeno lui riuscì a cambiare le sorti di una squadra già in caduta libera. Poi toccò a Dario Marcolin, a gennaio. Tre allenatori in una stagione: un segnale chiaro di quanto la situazione fosse fuori controllo. Il mercato invernale fu disperato e del tutto rivoluzionario: vengono ceduti Sebastián Leto al Lanús, Gino Peruzzi, Fabián Monzón ed Alexis Rolín al Boca Juniors, Alberto Frison alla Sampdoria, Marcelinho va dai greci dell'Atromitos, Edgar Çani al Leeds United, Adrián Calello va al Quilmes. Finisce anche l'avventura in rosso-azzurro di Sergio Almiron dopo 3 stagioni ed 84 presenze con 9 gol, chiude col Catania con una rescissione consensuale del contratto. Importanti i colpi in entrata con gli acquisti di Lorenzo Del Prete dal Perugia, il portiere d'esperienza nazionale belga Jean-François Gillet dal Torino impegnato in Europa League, l'ex difensore della Nazionale Under 21 Antonio Mazzotta e Manuel Coppola dal Cesena neo promossa in Serie A, Luca Ceccarelli dallo Spezia, Daniele Sciaudone dal Bari, Raffaele Schiavi dal Frosinone . Acquistato anche il bomber Riccardo Maniero dal Pescara e Nicola Belmonte dall'Udinese. Il 6 gennaio 2015, Daniele Delli Carri è ingaggiato come direttore sportivo. Il 1º marzo 2015 finisce l'avventura del preparatore atletico Ventrone che viene sostituito da Massimo Neri. l girone di ritorno si rivela con alti e bassi: la prima vittoria del 2015 è ai danni della Pro Vercelli per 4-0; verso la fine del campionato il Catania addirittura potrebbe qualificarsi per i play-off dopo cinque vittorie consecutive: Catania-Avellino 1-0, Varese-Catania 0-3, Catania-Trapani 4-1, Latina-Catania 1-2, Catania-Ternana 2-0, ma nelle ultime cinque partite realizza solo due punti. Il Catania si salva sul campo all'ultima giornata contro il Carpi vincitore del campionato, una vera e propria macchina da guerra, pareggiando 0-0. Chiude il deludente campionato di Serie B con 49 punti e un buon bottino di reti fatte, ma il reparto difensivo è tra i peggiori del campionato. Fu una stagione folle: partite perse in modo inspiegabile, litigi, caos societario, frustrazione crescente. I tifosi – sempre presenti, sempre affamati di riscatto – iniziavano a capire che non sarebbe finita bene. Ma il peggio doveva ancora venire. Perché mentre si chiudeva il sipario su una stagione anonima e deludente, dietro le quinte si muovevano ombre ben più gravi. A giugno 2015, pochi giorni dopo la fine del campionato, esplose lo scandalo che nessun tifoso avrebbe mai voluto vivere: l’inchiesta “I treni del gol”. Il Catania, secondo la Procura, aveva truccato alcune partite per evitare la retrocessione. Venne arrestato il presidente Pulvirenti. Si parlò di cinque gare comprate, di soldi versati per “salvare il salvabile”. Crollò tutto. Crollò la fiducia, l’orgoglio, la reputazione. Quella squadra che per anni aveva portato in alto il nome di Catania si ritrovava ora infangata, umiliata, messa in discussione nelle fondamenta. Il club fu penalizzato, retrocesso d’ufficio in Lega Pro (nonostante si fosse salvato sul campo), e da lì iniziò il lungo e doloroso calvario che avrebbe portato – anni dopo – al fallimento e alla rinascita. Il 20 agosto 2015 il Tribunale Nazionale della FIGC stabilisce la retrocessione in Lega Pro con 12 punti di penalizzazione e una multa di 150.000 euro più i 300.000 ad Antonino Pulvirenti con 5 anni di squalifica ed i 50.000 a Pablo Cosentino, squalificato per 4 anni. Il 29 agosto la Corte d'Appello Federale della FIGC riduce la penalizzazione a 9 punti.
2015/16: siamo al primo anno in Lega Pro, una stagione che nasce tra le macerie e il fumo del disonore, ma che racconta — ancora una volta — la forza disperata di chi non smette di amare, anche quando tutto è crollato. Il club era salvo, sì. Non radiato. Non fallito. Ma sporco, ferito, deriso. Eppure, vivo. E da lì, in mezzo a una città attonita, cominciò il più difficile dei cammini: ricominciare dal fango. In panchina viene chiamato Giuseppe Pancaro, ex difensore di Lazio e Milan. Un uomo serio, silenzioso, che accetta l’incarico con dignità. Il direttore sportivo è Marcello Pitino. La squadra viene rifatta da zero, in fretta, con ciò che si può, tra pochi soldi, pochi sogni e la zavorra di una penalizzazione pesante. Giuseppe Bonanno è il nuovo direttore generale, mentre Fabrizio Ferrigno copre il ruolo di Collaboratore dell'Area. Viene totalmente sfoltita la rosa, cedendo tutti eccetto gli attaccanti Andrea di Grazia, Mattia Rossetti e Maks Barišič, il centrocampista Gonzalo Piermateri e i difensori Juan Ramos e Tino Parisi, quest’ultimo futuro capitano. Dalla Salernitana arrivano il centrocampista Ivan Castiglia, il giovane portiere Luca Liverani, l'unico straniero Caetano Calil e l'ex Napoli Andrea Russotto. Da Lanciano arrivano i difensori Stefano Ferrario e Leonardo Nunzella. Dal Novara provengono i difensori Desiderio Garufo, Alessandro Bastrini e Dario Bergamelli. Poi da registrare il ritorno del portiere Giuseppe Ficara e di Gianvito Plasmati. Dall'Ancona arriva Loris Bacchetti, dal Catanzaro Elio Calderini, dall'Akragas Andrea De Rossi (cugino di Daniele), dal Varese Luigi Falcone, dal Livorno il portiere Elia Bastianoni, dal Lumezzane il catanese Giuseppe Russo, dal Teramo Luca Lulli, il difensore Carlo Pelagatti dall'Ascoli, dalla Pro Vercelli Gianluca Musacci e poi Fabio Scarsella dal Vigor Lamezia, e Davide Agazzi dall'Atalanta. Il Catania incomincia nel migliore dei modi, inanellando 3 vittorie nelle prime 3 giornate e azzerando la penalizzazione. Ma il campionato è più duro del previsto: Pancaro cerca di dare equilibrio, ma la squadra non ingrana. Alterna buone prove a crolli inspiegabili. Ogni pareggio pesa come una sconfitta, ogni sconfitta è una ferita che riapre la vergogna. Nel girone di ritorno la squadra cala vertiginosamente, fino a ritrovarsi nelle zone basse della classifica. Arriva Calil, bomber di esperienza. Si spera ancora in un aggancio ai playoff, ma è solo un’illusione. A marzo, dopo un crollo verticale, Pancaro viene esonerato. Arriva Francesco Moriero, l’ex ala dell’Inter, per un disperato tentativo di chiudere in piedi la stagione. Ma la scossa non arriva e il sogno o meglio l’obiettivo minimo di tornare subito a competere ai vertici, sfuma. La salvezza arriva all'ultima giornata con la vittoria sulla Fidelis Andria per 2-1 e il pareggio del Monopoli a Matera. Grazie a questi risultati il Catania chiude il campionato a pari punti con il Monopoli, ma in vantaggio negli scontri diretti, mandando così ai play-out il Monopoli. Nella delusione più totale, il 9 giugno 2016 il club richiama l'ex amministratore delegato Pietro Lo Monaco a ricoprire la carica che aveva lasciato qualche anno prima. Nella stessa estate l'imprenditore messicano Jorge Vergara, proprietario dell'importante Gruppo Omnilife e del club più popolare del Messico, il Guadalajara, manifesta interesse verso l'acquisizione del Catania. Dopo una lunga telenovela, a settembre l'imprenditore rinuncia ufficialmente all'acquisto del club.
La stagione 2016/17 parte nuovamente male, quasi fosse un’altra tappa di un cammino difficile, pieno di aspettative mai mantenute. Un anno in cui si sperava nel riscatto… ma il Catania rimase impantanato nei propri limiti, ancora lontano dalla luce. Nuova penalizzazione, stavolta 7 punti ed un nuovo torneo tutto in salita. La società scelse un volto esperto per guidare la rinascita: Pino Rigoli, allenatore siciliano, conoscitore della categoria, uomo di campo e di poche parole. Nonostante la penalizzazione, nel girone d'andata il Catania staziona nelle prime posizioni della classifica, risultando la difesa meno battuta del torneo. Ottimi i colpi anche contro due delle dirette concorrenti per la promozione, Juve Stabia e Lecce. Ma ancora una volta è fuoco di paglia. Il gioco non convince, e presto emersero la fragilità della squadra: poca organizzazione, difficoltà ad adattarsi ai campi infami della Lega Pro, e soprattutto una pressione enorme da gestire. Il solito copione: esoneri, illusioni e caos. A gennaio, nonostante il quarto posto, Pino Rigoli viene esonerato. La società decide di cambiare per “dare una scossa”. E il 13 febbraio 2017, quando dopo la sconfitta contro l’Akragas all’Esseneto, viene sollevato dall'incarico Rigoli e al suo posto subentra Mario Petrone. L'esperienza sulla panchina etnea del nuovo allenatore dura solo tre partite perché l'8 marzo rassegna le dimissioni, dopo la sconfitta in casa contro il Melfi. Al posto di Petrone arriva dalla Berretti l'allenatore Giovanni Pulvirenti e la squadra inanella una serie di 5 sconfitte consecutive. L squadra è spenta, confusa, senza identità. I nuovi acquisti non incidono. Pozzebon non segna. Calil è un’ombra. Russotto si accende e si spegne. Solo Biagianti e Pisseri tengono in piedi la baracca, con dignità e cuore. Grazie alla vittoria in Coppa Italia C del Venezia, già promosso in B, ad accedere come avente diritto alla seconda fase è la finalista Matera. Questo gioco di incastri permette al Girone C di avere un posto in più per i Play Off alla formazione che si posiziona all’undicesimo posto… guarda caso il Catania. Il 7 maggio 2017 è solo una passerella: il pareggio per 0-0 contro la Juve Stabia sancisce l’uscita di scena dei rossazzurri.
Il torneo 2017/18 parte sotto buoni auspici di rivalsa. Dopo anni di mediocrità e cadute, il Catania voleva finalmente riprendersi ciò che gli spettava: il ritorno in Serie B. La società si era ricompattata. I nomi giusti cominciavano a tornare. E in panchina arrivava un tecnico che a Catania conoscevano bene: Cristiano Lucarelli, ex attaccante, carismatico, diretto, passionale. Uno che con i suoi modi ruvidi sapeva parlare al cuore della gente. Il mercato estivo fu costruito con logica e attenzione. Niente nomi altisonanti. Niente fuochi d’artificio. Solo gente pronta a combattere per la maglia. Clamoroso è comunque il ritorno sotto i piedi dell’Etna del regista Francesco Lodi, che avrebbe ritrovato anche Biagianti e Marchese. La rosa si rinforza ulteriormente con l'arrivo dei difensori Aya, Bogdan e Tedeschi e degli attaccanti Ripa e Curiale. Il campionato non inizia nel migliore dei modi, anche a causa della pesante preparazione pre-campionato, racimolando appena un punto nelle prime due gare. Successivamente la squadra inizia a trovare la quadratura inanellando un filotto di sei vittorie consecutive e raggiungendo la prima posizione della classifica insieme al Lecce. Fin dalle prime giornate il Catania mostrò la stoffa della grande. Segnava tanto, vinceva fuori casa, non aveva paura di nessuno. Il gioco era concreto, efficace. La squadra era solida. E Lucarelli, con il suo piglio da sergente, sapeva tenere tutti concentrati. Ma c’era un avversario. Un nemico tosto: il Lecce. I giallorossi erano fortissimi, esperti, strutturati. Così, per tutto il campionato, Lecce e Catania si alternarono in vetta. Un duello rusticano, punto a punto, stadio dopo stadio. Catania arrivò a marzo ancora pienamente in corsa per la promozione diretta. Poi però accadde quella maledetta notte: è il 21 gennaio 2018, il Catania va a giocarsi tutto al “Via del Mare” di Lecce. Lo stadio è pieno. L’aria è tesa. La città è incollata agli schermi. Al 19’ Lodi su rigore porta avanti i rossazzurri facendo andare in visibilio la tifoseria etnea. Ma il sogno finisce quando Di Piazza troverà il gol del definitivo 1-1. Quel gol spezza qualcosa. Il Lecce scappa. Il Catania, pur continuando a vincere, non lo riprende più. Arrivano clamorosi tonfi come quello di Monopoli (5-0) e quello interno controllo il Trapani (1-2). Il Catania arriva secondo con 70 punti, quattro in meno del Lecce. Si va di nuovo ai Play Off, ma evitando la prima fase del torneo. Il Catania supera la prima sfida con carattere, battendo la Feralpisalò al Massimino per 2-0, dopo il pari per 1-1 di Salò. In semifinale c’è il Siena: all’andata si perde di misura per 1-0 con rete di Marotta; al ritorno dopo essere andati sotto, il Catania s’impone per 2-1 ma nonostante l’inferiorità numerica dei bianconeri si va ai rigori: il Siena grazie ai 4 rigori siglati, contro i 3 del Catania passa in turno e trova la finale. Decisivo l’errore di Mazzarani nella lotteria finale, a cui si aggiungono quello di Blondett per il Catania e Bulevardi per il Siena. Alla fine nessuna delle due squadre vedrà la cadetteria, dato che in finale sarà il Cosenza a festeggiare.
L’estate del 2018 cominciò con un senso sospeso. Il Catania era reduce da una delle stagioni più belle e dolorose della sua storia recente. Ma niente promozione. Solo lacrime. La ferita bruciava ancora, eppure la voglia di riprovarci era forte. Molti tifosi invocavano la conferma di Lucarelli, l’uomo che aveva ridato dignità e orgoglio alla maglia. Ma la società scelse un’altra strada: per il 2018/19 si chiamò Andrea Sottil, ex difensore rossazzurro ai tempi della Serie A, ora allenatore emergente con buone credenziali in Lega Pro, dopo l'ottima stagione a Livorno terminata con la promozione in serie B. Gli Etnei sono tra i protagonisti del mercato estivo con conferme importanti come quelle di Pisseri, Biagianti e Lodi e l'arrivo di giocatori di esperienza come Tommaso Silvestri, Luigi Scaglia, Cristian Llama, e Alessandro Marotta. La stagione del Catania inizia però in modo anomalo: in seguito alle mancate iscrizioni di Avellino, Bari e Cesena, gli Etnei chiedono il ripescaggio in serie B; ma le speranze di partecipare alla serie cadetta vengono spezzate quando il commissario straordinario della FIGC blocca tutti i ripescaggi in Serie B, andando a modificare di fatto il format del campionato e portandolo a 19 squadre in violazione delle norme federali, in quanto il regolamento non permetterebbe di cambiare formula ai campionati se non con un anno di anticipo. Vani saranno i ricorsi al Tribunale Federale della FIGC e poi al TAR del Lazio: il Catania resta in Lega Pro. Il girone C divenne un inferno logistico e psicologico: partite rinviate, squadre che fallivano, tribunali sportivi, classifiche da riscrivere. Il Catania partì bene ma non brillava. Le vittorie arrivavano, sì, ma con fatica. Il gioco era lento, prevedibile. La squadra sembrava senza fame. Costretto a saltare le prime tre giornate, la stagione inizia nel migliore dei modi con le vittorie contro Rende e Vibonese; nonostante i molti mesi di inattività e il ritardo di preparazione atletica, gli Etnei lottano per buona parte della stagione per il primo posto, ma a partire da febbraio la squadra diventa incostante, alternando ottime prestazioni a pessime sconfitte. La società dunque decide di sollevare dall'incarico di allenatore Sottil, scegliendo come suo sostituto Walter Novellino, ma anche con il nuovo tecnico la squadra non riesce ad avere la continuità di risultati necessaria per vincere il campionato: infatti, dopo le due vittorie iniziali contro Catanzaro e Juve Stabia, che portano il Catania al secondo posto a quattro punti dalla vetta, arrivano una serie di risultati negativi che costringono la squadra a rinunciare alla vittoria del campionato, venendo scavalcata anche dal Catanzaro, classificandosi quarta con 65 punti. Sfumati il primo posto e la promozione diretta in serie B, il Catania è costretto a giocare i play-off, con la società che decide di esonerare Novellino e richiamare Sottil. Da quarto classificato il Catania salta il primo turno dei play-off, al secondo turno batte la Reggina per 4-1, ai quarti di finale supera il Potenza al termine di due combattute sfide, in semifinale incontra il Trapani, venendo eliminato dopo due pareggi in virtù del miglior piazzamento degli avversari in campionato. Altra cocente delusione e nuova stagione dalla terza serie.
Siamo al 2019/20: la squadra era stanca, il progetto tecnico logoro e la società confusa. E soprattutto, i soldi erano finiti. Il Catania si iscrisse a fatica al campionato. In panchina ci si affida all'allenatore Andrea Camplone. Nel mercato estivo effettuano conferme importanti come quelle di Marco Biagianti, Francesco Lodi, Vincenzo Sarno, Di Piazza e acquistano giocatori giovani e d'esperienza, come Jacopo Furlan, Davide Di Molfetta, Nana Welbeck, Jacopo Dall'Oglio e Andrea Mazzarani. La stagione inizia nel migliore dei modi per gli etnei con le vittorie contro l'Avellino e la Virtus Francavilla, per poi avere un andamento discontinuo con successi interni seguiti da disfatte esterne, che portano all'esonero del tecnico e al ritorno sulla panchina rossoazzurra di Cristiano Lucarelli il 22 ottobre. A causa della pandemia di COVID-19 il campionato è stato interrotto dopo le gare della 30ª giornata. L'8 giugno il Consiglio Federale della FIGC ha decretato la sospensione definitiva del torneo, l'annullamento delle restanti gare da disputare e la cristallizzazione della classifica; con Play-off e Play-out giocati in gara secca e a porte chiuse, spareggi che completano il quadro di promozioni e retrocessioni. La squadra rossoazzurra, che aveva chiuso al sesto posto, dopo aver eliminato nel primo turno dei Play off la Virtus Francavilla (3-2), viene eliminata al secondo round pareggiando (0-0) in trasferta con la Ternana, che passa in virtù del miglior piazzamento in classifica e condanna la formazione etnea alla permanenza in terza serie. Intanto, la situazione stava peggiorando a vista d’occhio nella società etnea.
Fonte foto: mimmorapisarda.it; tuttoilcataniaminutoperminuto.it










